domenica 18 giugno 2017

YSL - Cinema

Il mio profumo è il Cinema di Yves Saint Laurant. Ne ho anche altri, ma quello è il mio preferito, quello che ho sempre usato con parsimonia, quello delle “occasioni importanti”.
Io che, con il mio setto nasale deviato non vanto di certo un olfatto fine, ricordo però la prima volta che lo sentii: me ne innamorai immediatamente. La Kecca era venuta a trovarmi a Piove, stavamo passeggiando lungo via Gauslino e per la prima volta un profumo catturò la mia attenzione, era il suo profumo, o meglio mi disse essere quello di sua madre, il Cinema e, infondo, non poteva essere altrimenti, visto che la mamma della Kecca era professoressa di Cinema a Scienze della Comunicazione.
Quello divenne così il primo profumo serio che comprai. Mi piaceva sentirlo il giorno dopo, sulla federa del cuscino o sulla sciarpa quando lo mettevo la sera prima.



Una sera, in un locale, notai un ragazzo, aveva quel “non so che” che mi colpì e, vinto l’imbarazzo, decisi di andarmi a presentare (il coraggio, in realtà, era dovuto agli innumerevoli GinTonic bevuti prima). Quella sera mi disse che avevo un buon profumo. Rimase anche uno dei pochissimi che mi fece per qualche anno che ci si sentì.


Ora, il Cinema, non lo fanno più, l’hanno tolto dalla produzione.
Conservo quasi come fosse una reliquia quel flacone ancora quasi pieno (il terzo), lo conservo anche perché è uno delle cose che maggiormente mi ricorda la mamma. Le avevo chiesto di ricomprarlo, io odio fare compre e lei lo faceva sempre per me… “portami a casa questo… portami quello… ho finito x, avrei bisogno di y, vorrei provare z”
Mai una volta che mi dicesse di no. A lei comprare, invece, piaceva da morire. Eravamo l’opposto anche su questo.
Fatto sta, che povera, aveva girato qualcosa come 5 profumerie per trovarmelo, perché appunto, avevano cominciato a ritirarlo dal mercato. Ma alla fine, in qualche modo lo trovò e me lo portò a casa. E sono disperata perché quel profumo è mio, è suo. E non esisterà presto più.

domenica 5 marzo 2017

del Fluo

Sono stata a vedere La La Land qualche giorno fa e no, non ne farò l'ennesima recensione ecc, lo dico solo perchè ho notato che la fotografia e la scenografia, per cui ha vinto gli Oscar, si basano su un nuovo tipo di estetica che vedo sempre più spesso e che mi viene da associare alla parola crepuscolare.
I colori infatti sono quelli della scala dei viola, da dei blu a dei rosa, ma molto accesi, perchè spesso combinati/dovuti alle insegne al neon.









In realtà lo uso come pretesto per dire che queste immagini mi piacciono molto e volevo farvi conoscere questo account instagram, markbroyer 




Certo prima ci sono stati altri film con una fotografia simile, così su due piedi mi vengono alla mente Blade runner e My bluebarry night, chi ha più cultura cinematografica di me probabilmente ne conoscerà tantissimi altri. Adesso c'è pure una pubblicità con questo tipo di fotografia, ma non ricordo quale.




Ah, sono stata a vedere Trainspotting 2 ed ho notato che anche lì le immagini giocano spesso con questi colori; visivamente molto bello, personalmente ho trovato molto potenti le inquadrature fatte dal basso.



Ah era la pubblicità era dell'Enel, era così prevedibile.




giovedì 9 febbraio 2017

Lettere quasi d'amore e cinismo

Vorrei qualcuno che mi scrivesse lettere d’amore, ma di quelle belle, come quelle che leggi sui libri. vorrei conoscere qualcuno in grado di scriverle.
Vorrei potergliene scrivere anch’io senza per questo vergognarmi. Senza timore di mostrarmi nuda, senza che lui approfittasse delle mie debolezze. Senza fraintendimenti.

In realtà qualche volta ho scritto lettere quasi d’amore, sarà che amo scrivere e credo che certe cose vadano in qualche maniera dette, nonostante tutto, nonostante il mio cinismo ed il mio essere poco sentimentale. Nonostante l’oggi, dove scriverSI significhi ridurre tutto a poche righe che leggi da dietro uno schermo di un cellulare e ricevere uno stupido “mi manchi” è qualcosa di meraviglioso, ma chissà perché difficilissimo da scrivere. 
O forse è solo un modo di preservarsi, perché così fai la figura di quello meno coinvolto in quella “cosa” e quando quella cosa finirà, perché arrivato ai 30 hai scoperto che “non c’è niente che sia per sempre” e tutto è destinato a finire, tu devi essere quello più forte e temendo che, tutto quello che hai detto possa essere usato contro di te, meglio starsene in silenzio e avvalersi della facoltà di non rispondere e del diritto ad avere un buon avvocato.
E così ho spezzato la poesia anche del post, perché altra cosa, si teme di cadere nello stucchevole e quindi meglio nascondersi dietro a dell’ironia.

Però a volte me ne frego e certe cose le ho scritte lo stesso e so di averle pure scritte non troppo sdolcinate o banali, anzi erano davvero belle. Vaffanculo la falsa modestia e sottolineo il fatto che fossero lettere quasi d’amore bellissime, di quelle che quando le leggi non riesci a trattenere il sorriso. 

E sì, un paio di lettere le ho ricevute pure io, ma sono passati troppi anni e io ne avrei bisogno di una ora.


E allora ascolto canzoni e leggo poesie, perchè cantanti e scrittori e poeti almeno hanno una scusa valida per scrivere quello che gli altri non scrivono e in più è il loro mestiere e lo sanno fare bene. E niente, chi si accontenta gode, dicono, ma Guido Catalano c'ha preso in pieno scrivendo che 




martedì 6 dicembre 2016

13 Luglio 2016

Questo non è un post che mi andava di scrivere ed ero sicura che mai, MAI avrei postato;
forse perché parlare della situazione che in questi mesi sto attraversando la trovo una terrificante strumentalizzazione, perché per quanto scriva cosa personali su social e blog ho sempre cercato di non scrivere cose che superassero quella labile linea che separa i piccoli drammi e gioie quotidiane da qualcosa di ben più delicato.
Non nascondo nemmeno di provare un certo senso di vergogna per voler provare a raccontare, con il mio goffo approccio e vocabolario un po’ risicato qualcosa di così “grande”.

E nella parola “grande” racchiudo molte altre parole: doloroso, tremendo, atroce, insuperabile, rabbia, angoscia, tristezza, solitudine. Ed è talmente “grande” che ti chiedi solo: come posso farcela? Ma la risposta è già racchiusa in quella domanda: non ce la farò.

A metà Luglio hanno diagnosticato un tumore al pancreas a mia madre, ma non racconterò tutto l’iter medico che abbiamo attraversato e che stiamo attraversando tutt’ora, così come non mi dilungherò su cosa questa malattia comporti.
Dirò solo che è una delle cose più dure che la vita può metterti davanti, perché lei è ancora giovane per morire ed io mi sento ancora la sua bambina, nonostante i miei 30t’anni. Non mi sento pronta a fare tutto senza di lei.
E’ dura cercare di fa fronte alla sofferenza di una donna che, in pochi mesi, ha perso tutto: vitalità, gioia, allegria, forza, peso. Che non riesce più ad alzarsi in piedi e camminare da sola, che fatica a parlare. Lei che era una leonessa, nata il 21 Agosto, quindi in tutto e per tutto. Lei che con la sua esuberanza riempiva casa ed ora in questa stessa casa c’è solo tanto silenzio e vuoto.

Basta non ce la faccio a scrivere di più, dico solo che la vita è profondamente ingiusta.

sabato 15 ottobre 2016

Direzioni diverse

Possibile sia così facile essere dimenticati?

Forse è una domanda sciocca, perché quando siamo noi a dimenticare non sembra così difficile la risposta; alla fine c’è moltissima gente di cui possiamo fare a meno, perché più di tanto, di loro non ci interessa.

Per dire ci sono un paio di amiche del liceo che rivedrei volentieri, con le quali certe cose si facevano solo con loro, una di queste è Rachele. Con Rachele andavo a moltissime mostre di pittura, non avevamo ancora la patente e spesso ci facevamo lunghi viaggi in treno per andare a vedere quella mostra di Van Gogh o quella personale di Mimmo Paladino e la transavanguardia italiana. 


Finito il liceo, per qualche anno siamo andate alla biennale a Venezia, perché comunque era un modo di vederci, nonostante i giri diversi che avevamo iniziato ad avere, io con i compagni di università, lei con il suo ragazzo e gli amici di lui.
Poi gli impegni sempre più fitti, la scomodità di abitare troppo distanti e dal vedersi una volta ogni tot di mesi, siamo passate a vederci un paio di volte l’anno fino poi a perderci.
Lei ogni tanto mi manda un sms, lei che odia la tecnologia e per l’amore del cielo whatsapp e facebook li lasciamo da parte che tanto se voglio sentire qualcuno lo posso benissimo chiamare e va bene così.
Un sms che mi fa un sacco piacere di ricevere nel quale mi chiede come sto e mi propone di vederci, magari perché c’è una mostra sul cubismo a Ferrara o anche solo per un aperitivo.
E mi piacerebbe vederla, ma poi do sempre precedenza ad altro e ad altre persone, persone che vedo abitualmente e mi rimprovero anche di non riuscire a ritagliarmi del tempo da passare con lei.

Insomma tutto questo per dire che a volte capita di perdersi di vista, di non sentirsi più e “dimenticarsi” di qualcuno, la si accetta come cosa, perché è normale, è la vita. Semplicemente.

Eppure trovo impossibile accettare il fatto di essere dimenticata, dimenticata soprattutto da qualcuno che per me non dovrebbe dimenticarmi. E quel “per me” ha dentro mille significati, mille ricordi, motivazioni, istanti, giorni e mesi. Come si può cancellare tutto il passato così? Come se dentro la vita di qualcuno in realtà non ci fossi mai stata, certe cose non fossero mai successe, non riuscire a far sentire la tua mancanza, essere stata così… insignificante?

Poi penso che Rachele non è stata insignificante per me, che in realtà capita che la pensi e mi manchi pure, ma che semplicemente “la vita ci spinge verso direzioni diverse” come canta Pierpa.

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